Il Pacco… Muore di più chi parte o chi resta?
Di Antonio Caivano
Tratto dall’intervento della Festa dell’Emigrante 2019
Il Pacco
Muore di più chi parte o chi resta?
Un giorno arrivò una lettera, senza mittente, il timbro dell’ufficio postale dal quale era partita diceva “Poste Italiane Ufficio di Rocchetta Sant’Antonio”.
Grande interrogativo.
Chi mi scriveva e cosa poteva esserci scritto ?!?!
Se è vero che le brutte notizie arrivano subito, pensai, questa era partita da più di tre giorni quindi poteva contenere solo belle notizie o almeno notizie normali.
Ero tentato di aprirla in ascensore ma poi decisi di gustarmela con comodo e così aspettai di essere in casa, di essermi messo in libertà, dopo una doccia ristoratrice, era stata una giornata di lavoro molto impegnativa.
Appena misi piede in casa la posai sul tavolo tra bollette e pubblicità che giornalmente, per fortuna solo queste ultime, soffocavano la mia cassetta della posta, posai la borsa, aprii una bottiglietta di chinotto per dissetarmi e finalmente mi sedetti sulla mia poltrona preferita, l’unica, e accesi lo stereo per ascoltare un pò di musica.
L’arrivo di quella lettera mi aveva messo addosso una certa allegria.
Ricevere una lettera mi faceva sempre molto piacere.
Mi ficcai sotto la doccia sorridente pensando a chi avesse potuto scrivermi e soprattutto immaginandomi un motivo piacevole che non avrebbe interrotto il mio sorriso.
Ancora con l’accappatoio addosso ritornai a sedermi sulla mia poltrona preferita, mi accesi una sigaretta sorseggiando il poco chinotto che era avanzato nella bottiglietta e finalmente decisi che quella era la situazione e il momento più giusto per farlo, la aprii.
Caro Tonino, cominciava così, la grafìa era un pò incerta segno di studi non proprio importanti, porgomi, questo stava per portami : un paio di scarpe 42 nere o, se le trovi, testa di moro così vanno bene sia col nero che col marrone, un maglione a scollo, intendeva non a giro gola, pensai, possibilmente blu ma se trovi un’offerta, porgomi, anche uno marrone chiaro, un dopobarba e un’acqua di colonia , questi sceglili tu, qualche pacchetto di sigarette, io di solito fumo le esportazioni con il filtro ma anche le mercedes o le malboro vanno bene.
Firmato….
Non c’era il nome nè nessun altro riferimento per risalire al mittente.
A dire il vero un’idea me l’ero fatta ma alla prima telefonata che avrei fatto a casa, già la sera stessa, sicuramente avrei saputo qualcosa di più.
Appena finito di leggere scoppiai a ridere e promisi a me stesso che chiunque avesse scritto quella lettera avrebbe avuto tutto quanto richiesto e anche qualcosa in più.
Questa strana situazione mi fece scorrere davanti agli occhi una serie di scene che avevo vissuto o che mi avevano raccontato.
Con la mente ero tornato indietro di un pò di anni, a quelli dell’emigrazione dai paesi, prevalentemente del Sud, di tanta gente che partiva alla ricerca di un futuro migliore e che quando partiva cercava di portare con sè oltre l’amore, l’affetto e le sensazioni vissute nel suo paese, nella sua terra, con la sua famiglia, con i suoi amici e amiche, un pò dei profumi e delle cose, che riteneva potessero aiutarlo a rendere, almeno per un breve periodo, meno penosa la partenza e soprattutto i primi giorni successivi all’arrivo nella città di destinazione.
Tutto questo e altro doveva stare nel pacco !
Si creava, però, anche un effetto contrario.
Nell’immaginario di chi rimaneva al paese le cose che si portavano da fuori, dove fuori sta per il paese, la nazione, la città nella quale uno era emigrato, erano diverse, più buone, di migliore qualità e soprattutto costavano meno.
O forse, chissà, la richiesta “del pacco dal nord” era semplicemente una sorta di compensazione per avere, a suo tempo, partecipato al riempimento di quello che avevi portato via al momento della partenza, riempito di tutto quanto si poteva : pane, pasta, salumi, sugo, formaggio e chi più ne ha più ne metta.
Il contenuto del pacco non variava quasi mai, alle prelibatezze di stagione, si aggiungeva qualche maglietta di lana se il pacco partiva da settembre in poi, perchè al nord fa freddo e c’è la nebbia, e di qualcosa di più fresco se partiva da aprile in poi, perchè al nord fa caldo.
Ancora oggi si emigra verso il nord, non solo dalle regioni del sud ma anche da quelle “dell’alditalia” verso un altro nord.
C’è stato chi ha detto “si è sempre il sud di qualcuno”, una grande verità in un piccolo pensiero !
Il pacco veniva spedito a cadenze più o meno regolari, ma sicuramente quello di Pasqua e di Natale non poteva mancare.
A Pasqua ci avresti trovato dentro certamente la squarcedda o lu pizzepanare e a Natale re scartatèlle e li calzungièdde.
L’attesa era uno dei momenti più belli dell’anno e quando arrivava, non vedevi l’ora di aprirlo, che importava se all’interno ci avresti trovato le stesse cose di sempre.
Lo aspettavi come si aspetta una cosa importante, una persona amata, un amico caro, li dentro c’era sicuramente tutto l’affetto della tua famiglia.
Quando si preparava il pacco naturalmente si chiedeva aiuto ai parenti o al vicinato perchè non poteva certo partire senza quella tal cosa che in quel momento in casa non avevi ma che doveva assolutamente arrivare a “quire criature”.
Nessuno è mai partito senza il pacco.
I viaggi si facevano solitamente in treno e non duravano poco, poteva capitare che durante il viaggio il pacco risultasse una fonte di sostentamento indispensabile, se non si era pensato ad organizzarsi un pacchetto a parte per queste esigenze.
Ed era allora che in treno si creava un insieme di odori che rappresentavano la cultura delle regioni, delle città, dei paesi che attraversava.
Dall’odore di frittata a quello del salame, da quello delle verdure di stagione a quello della frutta maturata al sole caldo di quella terra generosa.
Naturalmente non poteva mancare un buon bicchiere di vino e così il viaggio sembrava meno stancante.
Si socializzava all’interno degli scompartimenti a sei o otto posti e ci si affacciava anche nel corridoio per vedere se qualcuno, magari partito in fretta, volesse condividere quel ben di Dio.
Ci si preparava a scendere già dalla stazione precedente a quella d’arrivo, anche se questa era il capolinea del treno e ci sarebbe stato tutto il tempo per fare con calma.
Non era importante essere il primo a scendere, importante era essere pronti.
All’arrivo era un vociare unico, se c’era un posto per scoprire cosa fosse “la babele” era quello.
Voci dalle varie tonalità, maschili e femminili, intonavano sonorità diverse, di tanti dialetti, talvolta intervallati da intercalari di nessun significato ma che servivano ad identificare la nuova regione di residenza, “nè” per i piemontesi, “uè” per i lombardi, intercalari appresi nel breve o lungo periodo di vita consumato nell’ “alditalia”.
Purtroppo non conosco quelli usati nei vari paesi esteri e quindi non posso citarli.
L’arrivo non era complicato come la partenza dove uno saliva a prendere i posti e qualcun altro porgeva il pacco dal finestrino, ma c’era comunque una scenografia da mettere in piedi.
Serviva sempre qualcuno che ti aiutasse a portare giù il pacco che era il primo bagaglio che scendeva dal treno e sempre dal finestrino.
Si proprio il pacco, quello preparato a casa.
In quei giorni le telefonate degli amici e dei parenti si succedevano a ritmo non conosciuto negli altri giorni perchè si capisse che volentieri ti avrebbero dato una mano a liberarti di quelle bontà.
I barattoli, “li buccuacce”, con i peperoni, con i lampascioni, con i funghi, con gli asparagi sott’olio, finivano nella dispensa insieme con le immancabili olive sotto sale, perchè potevano essere consumate con più calma.
Stavo dimenticando una “portata” molto importante che per chi viveva solo, erano una salvezza per qualche giorno, i barattoli mono porzione di sugo con annessa “brasciola o pulpette”, solo da scaldare e condire la pasta fresca, fatta, a richiesta, il giorno prima di partire : maccarunale, recchietelle, cavatièlle, calzungièdde.
Poi c’erano le buste dei legumi secchi che avrebbero rappresentato in qualsiasi momento una buona soluzione per un ottimo piatto “re cavatielle cu li cicere, cu li fasule o cu li miccule”.
Potremmo continuare ma direi di fermarci qui con l’interrogativo dell’inizio: muore di più chi parte o chi resta ?