L’Ecce Homo che sembra vivo. L’opera più bella del Brudaglio

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Ecce Homo – Nicolantonio Brudaglio

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La scultura del Brudaglio

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Nicolantonio Brudaglio – ECCE HOMO – particolare delle mani

Modellare il legno e trasformarlo in un’opera d’arte è un’impresa realmente difficile. Siamo abituati a vedere il marmo scalfito dall’estro dei maestri forse anche perche davanti ad una scultura di questo genere è più intuibile il laborioso impegno rispetto a quel che si può fare con un ciocco di legno. L’Ecce Homo di Nicolantonio Brudaglio conservato nella Chiesa Matrice di Rocchetta Sant’Antonio rispecchia a pieno la certosina e meticolosa magia nell’andare a trasformare del semplice legno in un’anima che sprizza arte da tutti i pori. Il Cristo appare vivo e sofferente a tal punto da far impressione agli occhi più delicati. Lo sguardo rivolto verso l’alto e le carni trafitte dal flagrum o flagellum sembrano grondare ancora sangue in un venerdì di luna piena che riporta alla mente il sacrificio divino del calvario. L’opera del Brudaglio è datata 1750, come riportato alla base del Cristo dove si Legge NICOLles. ANT BRVDAGLIO SCVLPSIT ANDRIAE ANNO 1750.L’immagine sacra si sviluppa su una altezza di 50 centimetri con base. Il cristo dolorante appare a mezzo busto come nella maggior parte delle immagini sacre che hanno come soggetto l’ecce Homo, ossia la figura descritta nel Vangelo di Giovanni (19, 5), che significa letteralmente Ecco l’Uomo. È la frase che Ponzio Pilato, allora governatoreromano della Giudea, ha rivolto ai Giudei nel momento in cui ha mostrato loro Gesù flagellato. Secondo quanto raccontato dai Vangeli, Gesù, al momento dell’arresto, viene ritenuto innocente dal Governatore, ma dato che i Giudei lo volevano giustiziare ugualmente, Pilato lo fece flagellare, credendo che questa pena potesse essere la massima che gli si potesse infliggere.Per questo motivo il Brudaglio lo rappresenta sofferente, grondante di sangue,avvolto in un mantello rosso porpora che lo ricopre a metà per poi far uscire nella nudità delle carni l’umanità del Dio fatto uomo. Il volto è ricoperto da lacrime di sangue provocate da una corona di spine che cinge il capo. Il viso appare quasi scheletrico e gli occhi cristallini, rivolti verso l’alto, sembrano assenti, assorti in una meditazione o in uno stato di shock provocato dal dolore estremo. La postura è molto suggestiva e atipica rispetto ad opere del genere. Il Cristo appare quasi girato come se ancora attaccato alla colonna della fustigazione. I polsi sovrapposti e legati con un cordino, appaiono rassegnati ad un volere già previsto. Sulle mani nervature e vene solcano la pelle sanguinante mentre una di essa stringe il mantello quasi a voler lenire le sofferenze e l’altra sembra voler afferrare in mano qualcosa; probabilmente questa postura fa pensare ad un elemento scomparso nel tempo che l’artista aveva posizionato nella mano destra e che potrebbe essere una canna come descritto nel Vangelo di Giovanni:«Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la coorte. Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra; poi mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: “Salve, re dei Giudei!”. E sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo».Anche i colori hanno dell’incredibile, la pelle cianotica e di colore violaceo e verdastro; colore tipico dell’ecchimosi cutanea recente. Ai colori tenui si contrappone il rosso vivo del sangue appena versato e i giochi di chiaro scuro di una pelle vistosamente di pigmentazione mediterranea. Secondo la tradizione popolare il Brudaglio si aiutò per realizzare i colori della cianosi con sangue di insetto presente nelle campagne del territorio rocchettano. L’opera è possibile ammirarla nella chiesa Matrice all’interno della sagrestia lignea corredata di un’arredo e banchi in noce chiara tardo barocco di L. Villani del XVIII, ove è innestato un’orologio a pendolo.

BRUDAGLIO

Schermata 2014-04-18 a 16.19.43Nicolantonio Brudaglio di Andria è un artista completamente inedito, appartenente a un gruppo di scultori del legno, che fiorì in Andria verso la metà del XVIII secolo.
Nato nel 1703 ad Andria, si trasferì in tenera età a Napoli, per entrare, come tanti apprendisti scultori meridionali dell’epoca, nella bottega del celebre scultore Giacomo Colombo.
Per la verità, non è escluso che già suo padre professasse la scultura, se dobbiamo identificarlo con il Domenico Brudaglio che scolpì una Madonna del Loreto in legno, recentemente restaurata per l’omonimo santuario di Trinitapoli.
Il talento, più o meno apprezzabile, per la scultura doveva peraltro far parte del Dna dei Brudaglio, visto che scultori furono anche il fratello, o forse cugino, Riccardo, fucilato ad Andria nel 1799; Vito, imprecisato parente già considerato suo figlio; il nipote Niccolò, e un Michele Brudaglio attivo nell’Ottocento; più volte citato dal cronista Giacinto Borsella (1770-1867).
E per completare il quadro, Andria nel Settecento diede i natali anche ad altri due scultori prevalentemente dediti ad intagliare statue e busti devozionali in legno, come Francesco Paolo Antolini (not. 1720-1780), attivo in Puglia e Basilicata, che si applicò anche a scolpire la pietra, e Giuseppe Santoniccolò, autore tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento di alcune opere ad Andria e a Mola.
Le prime fonti storiche sul Brudaglio compaiono nel 1734, il quale compare nel Catasto Onciario di Andria come “scultore”, e da allora dà vita e forma ad un tuttora imprecisato, ma estesissimo catalogo di statue, raffiguranti decine e decine di Immacolate, Addolorate e figure di Santi, sparse nelle chiese di Terra di Bari (Andria, cattedrale di Bitonto, Corato, Gravina, Minervino, chiesa di S. Antonio a Mola di Bari, chiesa di San Francesco d’Assisi in Monopoli, Ruvo, Terlizzi, ecc.) e in Capitanata (cattedrale di Manfredonia, Rocchetta Sant’Antonio).
Gli è stata attribuita anche un’Immacolata nella chiesa degli Agostiniani a Scorrano, il che, se confermato, costituirebbe l’unica sua traccia in Salento.
Ma il raggio di diffusione della sua produzione, a prestar fede al Borsella, sarebbe assai più ampio, se è vero che i lavori di questo “chiaro statuario … vennero ricercati dalla Repubblica di Venezia, ed altre opere trovasi in Rimini.”
Notizia, peraltro, non del tutto astrusa, e che potrebbe avere qualche relazione coll’origine di Giacomo Colombo, nativo di Este, nell’Alto Adriatico.
Analogamente al Colombo, che lavorò il marmo oltre che il legno, e al conterraneo Antolini, il Brudaglio si applicò anche a scolpire portali in pietra, come quello della chiesa delle Benedettine di Andria, rimontato all’esterno della locale cattedrale dopo la distruzione della chiesa.
A detta del solito Borsella, Nicolantonio Brudaglio, che egli dice essere stato, oltre che scultore, arcidiacono della cattedrale di Andria, avrebbe anche “diretto i lavori” della cappella nel palazzo vescovile della sua città.
Pathos ed espressività sono le due costanti dello stile del Colombo che Nicola Antonio Brudaglio tiene ben presenti, oltre che naturalmente i modelli del maestro, peraltro spesso replicati dallo stesso Colombo.
Una scultura di media qualità, la sua, facilmente apprezzabile, comunicativa, un pò teatrale nei gesti e nelle pose, con qualche languore e svenevolezza: scultura che però non è nota quanto meriterebbe nè ha mai, finora, ricevuto l’onore di uno studio specifico.

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