Sulle orme dei Briganti – itinerario tra storia e sapori
Un tuffo nel passato sui luoghi leggendari del brigantaggio post unitario. Tra Melfi (Pz), Rionero (Pz), Sant’Agata di Puglia (Fg), Candela (Fg) e Rocchetta Sant’Antonio (Fg), Deliceto (Fg) e Bovino (Fg) per scoprire le tracce della storia… quella vera che spesso non è stata raccontata sui libri di scuola ma che vive e pulsa tra questi territori. Un viaggio attraverso i contributi fisico tra i panorami che hanno fatto da cornice alla storia del brigantaggio e tra boschi e natura che hanno nascosto i “partigiani post unitari”.
L’iniziativa, intrapresa dall’Associazione Culturale LiberaMente e dal quindicinale Lo Struscio, metterà in campo importanti volti del panorama culturale e gastronomico Appulo-Lucano. L’itinerario infatti avrà come filo conduttore la buona cucina e le gesta dei briganti più importanti come Carmine Crocco, Ninco Nanco e Giuseppe Schiavone.
SULLE ORME DEI BRIGANTI
primo giorno
→ MELFI – RIONERO – FOGGIANO – MONTICCHIO
Visita guidata alla città di Melfi con tappa nei luoghi leggendari del Brigantaggio
Visita al museo etnografico La Tavern r Crocc a Rionero in Vulture
• PRANZO presso LA GROTTA NEVIERA di Monticchio con pane e prodotti tipici
Percorso naturalistico sui laghi di Monticchio le “vie dei Briganti” e visita alla Badia di San Michele
Tappa alla frazione di Foggiano e visita all’area naturalistica dove dimoravano i briganti
• CENA e PERNOTTAMENTO Ristorante L’Orecchietta dove sarà servito il menù della tradizione dei briganti rivisitato dallo Chef Ercole Santarella
Secondo Giorno
→ ROCCHETTA – SANT’AGATA DI PUGLIA
Visita guidata all’area SIC a ridosso del Fiume Ofanto dove i briganti avevano realizzato una roccaforte
Visita al centro storico del paese e alla chiesa matrice
• APERITIVO/PRANZO a base di prodotti tipici presso Convento Santa Maria Giuncarico
Visita a Sant’Agata di Puglia con escursione alla pietra dei Briganti “San Lorenzo”
Visita alla casa natale di Giuseppe Schaivone e al Fratoio
• CENA presso risto-pub Il Brigante con piatti tipici della cucina ottocentesca dauna
• PERNOTTAMENTO a Rocchetta Sant’Antonio (possibilità di escursioni notturne e visite guidate)
Terzo Giorno
→ DELICETO – BOVINO
Visita guidata al centro storico e nei luoghi del set di Noi Credevamo e Un Mucchio D’Ossa Per Tata Vittorio (film che ripercorrono la storia post unitaria)
• APERITIVO/PRANZO Stazione di Posta nel famoso Vallo di Bovino
Visita a Bovino e centro storico
• CENA
• PERNOTTAMENTO nel Castello di Bovino (possibilità di escursioni notturne e visite guidate)
→ L’itinerario è aperto a gruppi max 20 utenti.
→ Possibilità di poter optare per passeggiate a cavallo o in quadd per visitatori in possesso di abilitazione e patente e in bike.
→ Gli spostamenti saranno garantiti con pullman navetta.
→ L’intero itinerario è caratterizzato da percorsi trekking.
→ Possibilità di percorsi alternativi per disabili e anziani.
→ Menù speciali per celiaci
→ Visite guidate con personale specializzato
→ Assicurazione
INFO E PRENOTAZIONI APS LIBERAMENTE
Tel. 0885 84 12 92 Cell. 347 2518300
Fax 0885 890209 – E-Mail: info@Liberamenteonline.Com
I FILI DELLA STORIA
IL BRIGANTAGGIO TRA LOTTA POLITICA E RISCATTO SOCIALE
Giuseppe Schiavone e Vito Rendina di Sant’Agata di Puglia, Antonio Petrozzi di Ascoli Satriano e Giuseppe Petrella di Deliceto, Pasquale Magnatta di Bovino, Rocco Marcello e Pietro Capuano di Anzano: tutte persone che probabilmente non avrebbero avuto nulla in comune tra loro se non fosse stato per il fatto che, all’indomani dell’unità d’Italia, scelsero di darsi alla macchia e farsi briganti.
Uomini che si trovarono a vivere male in una terra ricca solo di miseria dove, per sognare un futuro migliore si moriva fucilati, spesso anche senza uno straccio di processo.
Il fenomeno del brigantaggio post-unitario e reazionario rappresentò nel Meridione d’Italia un evento particolarmente vasto e dai diversi aspetti che si oppose ad una “unificazione” sostenuta dai Piemontesi con armi e leggi inique che continuarono a privilegiare le classi agiate, anziché promuovere riforme rispettose del popolo.
Le nostre zone rimasero tristemente famose per la presenza di briganti e per la frequenza delle loro aggressioni, che molto spesso si consumavano in quel difficile passaggio rimasto tristemente noto come il “Vallo di Bovino”. Infatti, in quel pericoloso transito, lungo il passaggio della strada che da Benevento portava alla piana foggiana, orde di masnadieri assaltavano viaggiatori e commercianti i quali, spesso, prima di mettersi in viaggio erano costretti a lasciare testamento.
Disperato e ancora maltrattato, certo è che il Sud non riusciva a cogliere la logica dell’Unità d’Italia. Anche perché le misere condizioni di un popolo affamato non mutarono, ma per certi versi, peggiorarono. La forza delle armi infine prevalse sulle ragioni del miglioramento, e un esercito bene armato scese dal Nord per far valere il nuovo ordine Sabaudo, che si sostituì a quello Borbonico.
La politica repressiva piemontese a distanza di alcuni anni si rivelò efficace per debellare il brigantaggio meridionale che, però, era solamente il sintomo di un vasto e profondo malessere.
Molti braccianti si fecero briganti, sperando di ottenere un minimo di riscatto da ingiustizie e dalla squallida miseria che li opprimevano. Ma rabbia e disperazione poco fanno contro fucili e baionette. L’esercito Piemontese per quasi cinque anni si trovò a fronteggiare “l’esercito dei cafoni”, bande armate capeggiate da ex soldati borbonici e favorite da contadini nullatenenti ridotti alla fame dalla miseria.
Non mancarono tra loro le donne, pronte a combattere e difendere anche con i denti i loro uomini nascosti sui monti, tra i boschi.
BRIGANTI DI CASA NOSTRA
Nella sola Capitanata furono censiti oltre 1500 briganti. Tra questi, rimasto famoso per le sue notevoli imprese, il capobrigante Giuseppe Schiavone, di Sant’Agata di Puglia. Descritto in diversi testi sul brigantaggio come uomo di spericolato coraggio, la sua baldanza lo portò presto al comando di una delle bande di quell’ “esercito” che, comandato da Carmine Crocco, il “Generale” dei briganti, nell’aprile del 1861 marciò su Melfi, Ripacandida, Venosa e altri paesi del Vulture, issando nuovamente la bandiera borbonica. Schiavone morì fucilato in Melfi nel novembre del 1864 con alcuni fidati uomini della sua banda: Giuseppe Petrelladi Deliceto, Rocco Marcelloe Pietro Capuanodi Anzano e Vito Rendina, anche lui santagatese.
Poco prima di morire sotto il fuoco delle fucilate, Giuseppe Schiavone urlò alla gente accorsa ad assistere al fatto: “Popolo, tu solo puoi ancora salvarmi, per te ho sempre combattuto”.
Ma non fu solo Sant’Agata di Puglia a dare il suo contributo al brigantaggio post- unitario.
Molti altri paesi del Subappennino Dauno, come riferisce l’apprezzata ricercatrice storica Dora Donofrio Del Vecchio:” Tutti i paesi del Subappennino diedero il loro contributo al brigantaggio post-unitario: Alberona 25 briganti, Anzano 7, Ascoli 17, Bovino 16, Candela 16, Casalnuovo 26, Casalvecchio 27, Castelnuovo 29, Accadia 7, Sant’Agata di Puglia 12, Celle 3, S. Paolo 38, Deliceto 11, Monteleone 4, Motta 6, Panni 11, Volturara 19, Volturino 26, Celenza 27. Questi dati vengono dalle cifre ufficiali, ma dalle deposizioni dei testimoni nei processi contro il brigantaggio e da altra documentazione custodita negli archivi, particolarmente in quello di Stato di Foggia e di Lucera, sappiamo che i briganti furono molti di più, e che molti “civili” e benestanti furono coinvolti in ruberie e vessazioni. – ed aggiunge – Fu una lotta sociale e politica quella tra briganti e forze dell’ordine basata sulla violenza, una lotta contro lo Stato e nello Stato tra diverse classi sociali accesa dall’odio contro proprietari e possidenti, ritenuti colpevoli della miseria delle masse contadine, dalla prepotenza e dallo strapotere di liberali e galantuomini. La repressione durissima, che aveva violato ogni forma di legalità, e lo stato d’assedio instaurato nelle regioni meridionali dal governo sabaudo sortirono lo scopo. Si acuì la frattura fra Nord e Sud del Paese proprio quando si dovevano gettare le basi per una convivenza pacifica, frattura che segnò in maniera decisiva la storia del Regno d’Italia ed il destino del Meridione”.
MERIDIONALI, O BRIGANTI O EMIGRANTI
Ma chi furono veramente i briganti? Legittimisti oppositori che non vollero piegarsi alle regole di un nuovo stato venuto con le armi e da lontano, o più semplicemente malfattori, banditi, come spesso riportato dalla storiografia ufficiale?
Se di legittima ribellione e opposizione si trattò, noi ci auguriamo che un giorno o l’atro sarà la storia a decretarlo definitivamente. Magari attraverso una più degna attenzione alla memoria dei vinti. Quei vinti che, definiti sommariamente “briganti”, meritano se non altro un’attenta revisione dei fatti e dei tempi che li videro molto spesso, sia pure in maniera agguerrita, disperati inseguitori di una vita più dignitosa.
Una dignità che non solo non trovarono loro, ma che non ottennero neppure i loro figli e i figli dei loro figli. Molti di loro, infatti, videro mutare la loro condizione solo perché da briganti divennero emigranti. Secondo alcuni dati dell’epoca, infatti, solo intorno al 1876 lasciarono i loro paesi per emigrare oltre 230.000 meridionali.
L’America prima, poi l’Europa ed infine il Nord dell’Italia si trasformarono nel sogno di quanti andarono a cercare altrove la dignità che nella loro terra d’origine gli era stata negata. O rubata.
Scrive il giornalista Pino Aprile nel suo ottimo libro “Terroni”: “L’impoverimento del Meridione per arricchire il Nord non fu la conseguenza, ma la ragione dell’Unità d’Italia. La ragione dei pratici; quella dei romantici era un’ideale. Vinsero entrambi”.
A perdere, invece, furono i sogni di riscatto della gente del Sud, oppressa, vessata e calpestata alla quale, per dirla con il grande Francesco Nitti, non rimaneva spesso che un’unica, disperata alternativa: o briganti o emigranti.